FiafPubblicazioniStoria della fotografia

1. Prima della Fotografia, di Cinzia Busi Thompson

1. Prima della Fotografia, di Cinzia Busi Thompson

Come ognuno ben sa, la nascita ufficiale della fotografia risale al 1839, ma l’idealizzazione di questo processo ha radici ben più remote. Aristotele (384-22 A.C.) descrive la camera oscura come una stanza per osservare le eclissi solari. Nel 1760 lo scrittore francese Tiphaigne de la Roche
scrisse una novella, che oggi potremmo definire fantascienza, intitolata Giphantie (anagramma del suo nome) nella quale egli descrive il suo viaggio immaginario alla scoperta di “uno scorcio di ciò che successo, ciò che sta succedendo e ciò che succederà”. Si tratta di una novella curiosa che desidero sottoporre alla Vostra attenzione per i contenuti profetici che essa contiene. Nel mezzo del deserto africano, dove è stato spinto da forti venti che divengono uragano, egli viene sollevato e trasportato in un giardino dove incontra uno spirito che si presenta come il Prefetto dell’isola di Giphantie. Ed è proprio sotto la guida del Prefetto che egli parte all’esplorazione delle meraviglie dell’isola. Nel capitolo X si narra del “fissaggio” delle “immagini transitorie” della natura grazie all’azione della luce.
LA TEMPESTA – Qualche passo dal rumoroso globo, la terrà è infossata e là appare una discesa di 40 o 50 gradini erbosi. Ai piedi di questa c’è un sentiero sotterraneo in terra battuta. Entrammo e la mia guida, dopo avermi condotto attraverso oscuri meandri, finalmente mi riportò alla luce. Mi condusse in un’entrata di media grandezza e poco adorna. Qui fui colpito da una vista che mi fece meravigliare. Fuori dalla finestra vidi un mare che mi sembrava essere distante circa un quarto di miglio. L’aria, piena di nubi, irradiava solo quella pallida luce che presagisce una tempesta: il mare in burrasca formava alte montagne e la riva era imbiancata dalla schiuma dei flutti che si rompevano sulla spiaggia. Ma per quale miracolo posso vedere l’oceano al centro dell’Africa? Nel dire queste parole mi avvicinai velocemente per convincere i miei occhi di una cosa così improbabile. Nel tentare di mettere la mia testa fuori dalla finestra, urtai contro qualcosa che sembrava una parete. Stupito dall’urto, ed ancora di più da così tanti misteri, arretrai di alcuni passi. La tua fretta – disse il Prefetto – è causa dei tuoi errori. Quella finestra, quel vasto orizzonte, quelle spesse nubi, quel mare in burrasca altro non erano che una “immagine”. Da una meraviglia ad un’altra: mi avvicinai con rinnovato slancio; i miei occhi erano ancora ingannati e la mia mano non riusciva a convincersi che quella “immagine” potesse avere causato tale illusione. Gli spiriti elementari, continuò il Prefetto, non sono abili pittori quanto naturalisti; dovresti essere in grado di giudicare dal loro operato. Tu sai che i raggi di luce, riflettuti da corpi differenti, formano una “immagine” e “dipingono” i corpi su tutte le superfici lucide: sulla retina dell’occhio, per esempio, sull’acqua, sul vetro.
Gli spiriti elementari hanno studiato come fissare queste immagini transitorie: hanno
composto la materia più tenue, molto viscosa ed adatta all’indurimento ed essiccamento, con la quale una “immagine” può essere fatta in un battito d’occhio. Essi coprono con questa materia un pezzo di tela e la mantengono di fronte agli oggetti che essi hanno in mente di dipingere. Il primo effetto della tela è quello di uno specchio; vi sono rappresentati tutti i corpi vicini e lontani, ovvero le immagini che possono essere trasmesse dalla luce. Ma ciò che lo specchio non può fare e la tela sì, grazie alla sua materia viscosa, è di trattenere le immagini. Gli specchi mostrano le immagini esattamente, ma non le trattengono; le nostre tele le mostrano con la stessa esattezza, ma le trattengono. Questa impressione delle immagini viene fatta il primo istante in cui vengono a contatto con la tela, la quale viene prontamente portata in qualche luogo scuro; dopo un’ora la tenue materia si secca e voi ottenete una “immagine” di molto valore, tale da non essere imitata dall’arte o danneggiata dal tempo. Noi prendiamo, nella loro forma più pura, nei corpi luminosi, i colori che i pittori estraggono da materiali differenti e che il tempo non manca di alterare. La giustezza del disegno, la verità dell’espressione, la gradazione delle ombre, le pennellate più forti o più tenui, le regole della prospettiva, tutto ciò lo lasciamo alla natura che, con mano sicura e corretta, disegna sulle nostre tele immagini che ingannano l’occhio e danno ragione di dubitare se ciò che sono chiamati oggetti reali non siano fantasmi che si impongono alla vista, all’udito, al tatto ed ai sensi tutti insieme. Il Prefetto quindi entrò in qualche discussione fisica; in primo luogo sulla natura della sostanza glutinosa che intercetta e trattiene i raggi, in secondo luogo sulle difficoltà di prepararla ed usarla ed in terzo luogo sulla lotta tra i raggi di luce e la sostanza secca: tre problemi che propongo ai naturalisti dei giorni nostri e che lascio alla loro saggezza. Nel frattempo non potevo distogliere i miei occhi dal quadro. Uno spettatore sensibile che dalla riva contempla un mare tempestoso; queste immagini sono uguali alle cose stesse. Il Prefetto interruppe la mia estasi. Ti trattengono troppo a lungo -disse lui- su questa tempesta con la quale gli spiriti elementari hanno voluto rappresentare lo stato noioso di questo mondo ed il passaggio tempestoso del genere umano attraverso lo stesso; volgi altrove i tuoi occhi e trattieni ciò che alimenterà la tua curiosità e aumenterà la tua ammirazione.
LA GALLERIA ovvero la Fortuna dell’Umanità. Non appena il Prefetto ebbe pronunciato queste parole, una porta si aprì alla nostra destra e ci lasciò entrare in un’immensa galleria dove la mia meraviglia si tramutò in stupore. Su ogni lato più di duecento finestre lasciavano entrare la luce ad un tale livello che l’occhio poteva difficilmente sostenere il suo splendore. Gli spazi tra loro erano “dipinti” con quell’arte che ho appena descritto. Oltre ogni finestra si vedeva parte del territorio degli spiriti elementari. In ogni dipinto apparivano boschi, campi, mari nazioni, armate, intere regioni. Tutti questi soggetti erano “dipinti” con tale realismo che spesso mi sforzavo di ricordarmi di non ricadere nell’illusione.
Non ero in grado di dire, in ogni istante, se ciò che stavo vedendo fuori dalla finestra non fosse un quadro, o ciò che stato guardando nell’immagine non fosse reale. Contempla con i tuoi occhi -disse il Prefetto- contempla gli eventi più straordinari che hanno scosso la terra e deciso il fato degli uomini.
Dunque cosa rimane di tutte queste sorgenti piene di forza, di tutte queste grandi prodezze? I loro segni reali sono le tracce che hanno lasciato sulle nostre tele nel dare forma a questi quadri.