2. Le origini della Fotografia, di Cinzia Busi Thompson
2. Le origini della Fotografia, di Cinzia Busi Thompson
La fotografia nasce da un’esigenza sociale e cultura di rappresentare il più realmente possibile la natura e le persone calate nella realtà quotidiana. La nobiltà ed il clero stavano lasciando nella guida della società, il posto alla borghesia che richiedeva immagini più dirette, di più facile lettura.
La scoperta del processo litografico ottiene immediatamente un clamoroso successo; da qui la ricerca di automatizzare la fase di ripresa delle immagini. Il 1839 vede la nascita a Parigi ed a Londra di due processi che coronano tutti gli sforzi fatti per fissare le immagini riflesse dalla camera oscura.
Il 19 Agosto 1839, a Parigi, il deputato Francois Arago rivela all’Accademia delle Scienze e a quella delle Belle Arti, in riunione congiunta, la tecnica per ottenere un dagherrotipo, consacrando così ufficialmente la fotografia. I fautori di questa magia sono due francesi, Joseph Nicéphore Niépce (1765-1833) e Louis Jaques Mandé Daguerre
(1787-1851). Attraverso le loro rispettive biografie vedremo ora come sono giunti a questo agognato risultato. Niépce, dopo una carriera militare interrotta a causa di motivi di salute, è un bricoleur che si diletta, con buoni risultati, di varie invenzioni. Quello che più lo attrae, comunque, è la litografia ed in ciò è aiutato da suo figlio Isidore che possiede un innato talento per il disegno.
Quando Isidore viene chiamato alle armi, Joseph cerca il modo di riprodurre
automaticamente le immagini dalla natura senza l’ausilio del disegno, per il quale non è portato.
Nel 1816 ottiene le prime immagini su un foglio di carta trattata con il cloruro d’argento, ma poiché queste hanno toni invertiti ed egli non riesce a fissarle; abbandona questa tecnica non realizzando di aver inventato ciò che oggi viene chiamato negativo.
Nel 1822 riproduce incisioni su lastre di stagno ricoperte di biturne di Giudea (eliografie) che, dopo alcune ore di esposizione alla luce s’indurisce; sciacquando la lastra con olio di lavanda e petrolio bianco rimangono
le linee nere di stampa.
A quel tempo Niépce collabora con l’ottico Chevalier che fornisce a
Daguerre alcune ottiche per il suo diorama. Sarà proprio Chevalier il tramite tra Niépce e Daguerre.
Daguerre è uno scenografo di successo, nonché inventore del diorama -insieme di paesaggi dipinti che illuminati con una particolare tecnica, danno l’impressione di realtà- le cui immagini egli dipinge
con l’ausilio della camera oscura.
Chevalier parla a Daguerre delle eliografle di Niépce, il quale, nel frattempo, non era riuscito a presentarle
pubblicamente. Daguerre contatta Niépce cercando di conoscere i suoi metodi, ma Niépce è diffidente e non
svela il suo segreto.
È solo nel 1829 che, a causa di un dissesto finanziario, Niépce si decide a firmare
un contratto di collaborazione con Daguerre per lo sfruttamento commerciale
delle rispettive scoperte, sottoscrivendo una clausola con la quale s’impegnano a non divulgarle pubblicamente.
Niépce muore nel 1833 ed a lui succede il figlio Isidore, che Daguerre liquida con un’esigua somma. Daguerre nel frattempo ha continuato le sue ricerche ed ha messo a punto un procedimento
il cui risultato viene chiamato dagherrotipo.
Si tratta di un’immagine, non riproducibile, impressa su una lastra di metallo e sviluppata con lo iodio e successivamente fissata con sale marino.
Questa tecnica ottiene immediatamente enorme successo. Gente di tutte le
classi che aveva sino allora agognato di possedere un loro ritratto, privilegio riservato solo ai ricchi che potevano pagare pittori e miniaturisti, si rivolgono a
frotte di fotografi per perpetuare ai posteri i loro tratti e la loro cronaca.
Daguerre è ricoperto di gloria e di onorificenze;
gli viene inoltre assegnato un vitalizio annuo di 6,000 franchi (a Niépce vengono concessi solo 4,000 franchi).
Ma nel lungo termine la furbizia e malafede di Daguerre non pagano; infatti ai giorni nostri il ruolo di scopritore della fotografia viene giustamente riassegnato a Joseph Niépce.
Ancora più sfortunato di Niépce è un funzionario delle finanze che risponde
al nome di Hippolyte Bayard.
Già da anni egli si dedicava all’azione chimica della luce ed in seguito alla notizia della scoperta del dagherrotipo moltiplica i suoi sforzi fino ad ottenere prima negativi di carta, poi finalmente positivi diretti su carta. Corre a mostrarli ad Arago, il quale è troppo coinvolto con Daguerre per incoraggiarlo, ma Bayard non demorde e nel 1839 organizza la prima mostra fotografica con 30 sue immagini. Sfortunatamente questa mostra non riscuote l’interesse del pubblico.
Nel 1840 pubblica una fotografia che lo ritrae a torso nudo con il volto congestionato; sul retro della stampa scriverà: “Il corpo che vedete è quello di M. Bayard. L’Accademia, il Re e tutti coloro che hanno visto le sue immagini, le hanno ammirate, così come fate voi. L’ammirazione gli ha portato prestigio, ma neanche un centesimo. Il Governo che ha dato così tanto a M. Daguerre ha detto che non può fare niente per M Bayard ed il poveraccio si è annegato”.
A Bayard viene riconosciuto il merito di avere avuto più di chiunque altro fotografo coevo, il gusto tipico della pittura cubista. Nelle sue immagini, che in qualche modo richiamano alla memoria le nature morte di Morandi, si vedono oggetti disposti frontalmente rispetto al punto di ripresa, su fondali scuri per risaltare meglio ed illuminati in modo da creare ombre diagonali.