4. La fotografia riformista: Riis e Hine, di Cinzia Busi Thompson
4. La fotografia riformista: Riis e Hine, di Cinzia Busi Thompson
Gli ultimi due decenni dell’ottocento vedono l’impressionante evolversi delle tecnologie relative ai processi fotografici. La gelatina sostituisce il collodio umido, sia per quanto riguarda il negativo, che il positivo (le camere oscure portatili non sono più necessarie); la sensibilità alle bande dello spettro si estende al verde, giallo, arancio e rosso; attraverso un fotometro si è in grado di determinare la giusta sensibilità dei supporti alla luce. Per quanto concerne il processo di sviluppo e stampa, si giunge alla determinazione del tempo ottimale di sviluppo del negativo in funzione dell’esposizione, dei chimici usati e della loro temperatura di impiego. Anche le ottiche vengono migliorate e la loro gamma di disponibilità si amplia notevolmente. Le dimensioni degli apparecchi fotografici diminuiscono al punto di poter essere tenuti in mano (evitando l’uso del cavalletto). Nel 1888 viene immessa sul mercato la Kodak che usa “American Film”, ovvero un negativo di carta in rullo trattata con un substrato di gelatina e quindi con un’emulsione di gelatina fotosensibile. Nel 1891 la carta viene sostituita con un supporto trasparente di celluloide, dando origine ad un negativo non molto dissimile da quello attualmente usato. Tutti questi progressi tecnologici portano all’affrancamento del fotografo da molte problematiche tecniche, permettendogli una maggiore libertà di espressione. Avviene un processo di democratizzazione Della fotografia che vede persone, che fino allora ne erano precluse per difficoltà tecniche, usare questo mezzo per “documentare” attraverso istantanee la famiglia, gli amici, occasioni sociali. Il motto della Kodak è “Voi premete il bottone, al resto ci pensiamo noi”. Nascono riviste che trattano di fotografia dal punto di vista tecnico e artistico, che contengono recensioni di mostre fotografiche e pubblicità di materiale fotografico. I connotati non si differenziano molto dalle riviste oggi presenti sul mercato. La fotografia è dunque divenuta un fenomeno sociale. Coadiuva il lavoro di scrittori, pittori, giornalisti e di tutte quelle categorie che non sono interessate a fare di essa la loro attività primaria. Esse infatti non sono più legate a problematiche finanziarie e quando lavorano ignorano e rompono le regole prestabilite che esistono per i fotografi professionisti.
Jacob August Riis (1849-1914) all’età di 21 anni arriva negli USA proveniente dalla Danimarca. Passa i primi 7 anni senza riuscire a trovare un lavoro fisso. Passa la notte in dormitori pubblici e più di una volta rischia di morire di fame. La povertà lo segna irrimediabilmente e fa sì che, a partire dal 1877, anno in cui diventa poliziotto (dopo una breve parentesi come reporter), si dedichi a portare a conoscenza delle autorità e del pubblico, più in generale, questo problema, finora sottovalutato in quanto considerato il risultato di una mancanza di volontà, se non immoralità, del singolo. Le sue ronde notturne con la polizia sanitaria lo portano nei bassifondi (slums) più aberranti. Capisce che se potesse far vedere alla massa ciò che egli vede, riuscirebbe a sensibilizzarla e forse risolvere (riformare) i problemi che la povertà comporta. Gli articoli che scrive non ottengono la reazione sperata; non è in grado di disegnare (ritiene comunque che questa non sia la tecnica giusta per evidenziare la realtà in tutta la sua crudezza) e la mancanza di luce che contraddistingue i bassifondi, non gli permette di fotografare, fino al giorno in cui su una rivista legge che in Germania è stato inventato il lampo al magnesio (1887). Capisce di aver trovato la soluzione giusta. Armato di macchina fotografica e “flash” si intrufola nei tuguri e “ruba” le immagini in cui la povertà appare in tutte le sue sfumature più crudeli. “…. Una misteriosa comitiva ultimamente ha allarmato la città delle notti. Poliziotti sonnolenti sulle strade, abitanti di tuguri nelle loro tane; vagabondi e barboni nei loro cosiddetti alloggi, e tutta la gente della selvaggia e meravigliosa specie della vita notturna di New York si sono a loro volta meravigliati e stupiti del fenomeno. Ciò che vedevano erano tre o quattro figure nell’oscurità, un cavalletto spettrale, qualche strano ed inquietante movimento, il bagliore accecante, poi essi udivano il ticchettio di passi che si allontanavano ed i misteriosi visitatori se ne erano andati, prima che essi potessero raccogliere i loro pensieri sparpagliati e cercare di capire cosa era successo.” (New York Sun 1888) Le sue prime immagini vengono pubblicate, con la tecnica dell’incisione, sul New York Sun, ma attraverso il processo di “trascrizione” le immagini perdono molto del loro mordente. Sarà nel 1880, con l’avvento del processo di stampa a mezzatinta, che le fotografie cominceranno ad apparire sulle riviste, per lo più settimanali o mensili, in quanto il processo di preparazione delle lastre richiede una preparazione più lunga che, generalmente, viene eseguita in laboratori specializzati. Si deve arrivare al 1897 perché la mezzatinta venga usata regolarmente, soprattutto dal New York Tribune. Gli editori non mostrano un particolare interesse per il lavoro di Riis, e così egli decide di tenere conferenze, coadiuvato da diapositive “a dissolvenza incrociata” che proietta con la lanterna magica (metodo che scopre essere di estrema efficacia, in quanto le immagini proiettate in grande formato hanno un impatto ancora maggiore sul pubblico). È il primo ad intuire l’efficacia della comunicazione “audiovisiva” derivante dalla sinergia tra immagini e parole e che permette una maggiore comprensione e l’assimilazione del contenuto dei messaggi trasmessi. Questo diviene, a partire dagli anni ‘60, un fenomeno di studio da parte di numerosi sociologi, che daranno alla comunicazione una connotazione di scienza. Nel 1890 l’editore Screibner’s gli commissiona un articolo e, subito dopo, un libro. Nasce “How the Other Half Lives” (Come vive l’altra metà), illustrato da 17 mezzetinte e 19 incisioni ricavate da altrettante fotografie. Il successo è immediato: in 5 anni ne saranno pubblicate 11 edizioni.
Per la prima volta la gente ha davanti agli occhi, senza mediazione, tutto l’orrore e l’aberrazione della povertà. Le immagini (in alcune i soggetti sono in posa) hanno in comune una forza oltraggiosa, sia per il l’alto grado di contrasto dato dall’uso del flash, sia per la nitidezza e lo squallore dei dettagli. Nulla sfugge all’obiettivo, né l’umidità che corrode i muri, né gli stracci ammucchiati, né gli abiti laceri; negli occhi dei soggetti si legge la disperazione di chi è senza futuro ed i loro sguardi intensi e diretti non danno assoluzione a chi li guarda. Il futuro presidente Teddy Roosvelt, allora capo del comitato della Polizia di New York, visiona il libro e si mette in contatto con l’autore; nel 1897 il Mulberry Bend (lo slum più spaventoso degli USA e fotografato da Riis) viene demolito per far posto ad un parco pubblico. Gli abitanti vengono spostati in alloggi di nuova costruzione. Riis continua comunque le sue campagne riformiste, sia attraverso le conferenze, che con la pubblicazione di un secondo libro “Children of the Poor” (I figli del povero). Poi nel 1898 cessa la sua attività e le sue fotografie vengono dimenticate sino al 1947, quando il fotografo Alexander Allan Sr. le recupera, le ingrandisce e ne include alcune nella pubblicazione US Camera 1948. Alcuni anni dopo, sulla scia di Riis, comincia ad operare, senza però mai fare riferimento diretto al lavoro del suo predecessore, Lewis Wickes Hine (1874-1940). Hine è un sociologo che ha insegnato all’Istituto di Cultura Etica di Manhattan ed ha maturato un’esperienza fotografica riprendo gli immigranti che arrivavano ad Ellis Island. Nel 1908 viene assunto dal National Child Labor Committee (NCLC) che da anni opera per la regolamentazione del lavoro giovanile che negli USA, specialmente negli stati del sud, ha assunto proporzioni enormi. In un censimento del 1900 si parla di oltre 1.793.000 giovani che lavorano dall’alba al tramonto, in condizioni precarie, guadagnando salari da miseria. Il suo lavoro consiste nel compiere indagini documentate, ma poi la parte fotografica prende il sopravvento. Il suo modus operandi è diretto, senza drammatizzazioni; i soggetti sono ripresi a media distanza, a volte frontalmente, mentre lavorano ai macchinari; questa vicinanza da un parametro dimensionale essenziale per determinare la “grandezza” del soggetto. Il suo lavoro non è facile; innanzitutto i proprietari non sono desiderosi di aver un fotografo nelle loro fabbriche ed il più delle volte Hine, per accedervi, deve spacciarsi come venditore o agente assicurativo. Poiché le foto pubblicate vengono accusate di falsità, a supporto delle immagini, Hine annota tutti di dati possibili quali l’età del soggetto, l’altezza, il luogo, il giorno e l’ora. Riesce così a compilare la documentazione più comprensiva sul lavoro giovanile nelle tessiture del Sud. Realizza anche immagini degli slums, del lavoro nelle miniere e nelle acciaierie. Anche lui comprende l’importanza della sinergia parola-testo e, oltre a conferenze e mostre, realizza, sempre per conto del NCLC, manifesti e volantini dove le denunce vengono supportate dalle immagini. “… Per noi bambini adulti, l’immagine continua a raccontare una storia “imballata” nella forma più condensata e vitale. Infatti spesso è più efficace di quanto non possa essere la realtà, poiché nell’immagine il non-essenziale e gli interessi in conflitto sono stati eliminati. L’immagine è il linguaggio di tutte le nazionalità ed età. … La fotografia ha di per sé un realismo aggiunto: ha un’attrazione inerente che non si trova in nessun’altra forma di illustrazione. Per questa ragione la persona comune crede implicitamente che la fotografia non falsifichi.” I risultati della campagna contro il lavoro giovanile tarderanno ad arrivare, ma già dal 1906 il Congresso americano comincia ad occuparsi della questione, fino a dichiararlo incostituzionale nel 1916. Negli anni ‘20 Hine focalizza la sua opera sul lavoro industriale, fotografando gli operai impegnati alla costruzione dell’Empire State Building. Il suo lavoro si differenzia sensibilmente da quello di Riis, in quanto l’intenzione è quella di documentare (ovvero mostrare la gente che lavora e l’ambiente in maniera distaccata ed oggettiva, priva di sensazionalismi), che non quella di impressionare ed intimorire lo spettatore. Oltre allo scopo di rivelare ciò che occorre correggere, le immagini di Riis ed Hine lasciano trapelare anche una sorta di empatia con i loro soggetti. Lo stile di Hine influenzerà molte generazioni di foto-documentaristi ed, in modo particolare, quelli della Farm Security Administration